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The Kiss, Edvard Munch |
L’Odissea, l’epopea fondatrice della nostalgia, è nata agli albori dell’antica cultura greca. Va sottolineato: Ulisse, il più grande avventuriero di tutti i tempi, è anche il più grande nostalgico. Partì (senza grande piacere) per la guerra di Troia e vi rimase dieci anni. Poi si affrettò a tornare alla natia Itaca, ma gli intrighi degli dei prolungarono il suo periplo, dapprima di tre anni, pieni dei più bizzarri avvenimenti, poi di altri sette, che trascorse, ostaggio e amante, presso la dea Calipso, la quale, innamorata, non lo lasciava andar via dalla sua isola.
Nel quinto canto dell’Odissea, Ulisse le dice: “So anch’io, e molto bene, che a tuo confronto la saggia Penelope per aspetto e grandezza non val niente a vederla… ma anche così desidero e invoco ogni giorno di tornarmene a casa, vedere il ritorno”. E Omero prosegue: “Così diceva: e il sole s’immerse e venne giù l’ombra: entrando allora sotto la grotta profonda l’amore godettero, stesi vicini l’uno all’altra”.
Nulla che si possa paragonare alla misera condizione di esule che Irena aveva a lungo vissuto. Ulisse conobbe accanto a Calipso una vera dolce vita, vita di agi, vita di gioie. Eppure, fra la dolce vita in terra straniera e il ritorno periglioso a casa, scelse il ritorno. All’esplorazione appassionata dell’ignoto (l’avventura), preferì l’apoteosi del noto (il ritorno). All’infinito (giacché l’avventura ha la pretesa di non avere mai fine), preferì la fine (giacché il ritorno è la riconciliazione con la finitezza della vita).
Senza svegliarlo, i marinai di Feacia adagiarono Ulisse avvolto nei lini sulla spiaggia di Itaca, ai piedi di un ulivo, e se ne andarono. Fu questa la fine del viaggio. Ulisse dormiva, esausto. Quando si svegliò, non sapeva dov’era. Poi Atena disperse la nebbia dai suoi occhi e fu l’ebbrezza; l’ebbrezza del Grande Ritorno; l’estasi del noto; la musica che fece vibrare l’aria tra la terra e il cielo: vide l’insenatura che conosceva sin dall’infanzia, i due mondi che la sovrastavano, e carezzò il vecchio ulivo per assicurarsi che fosse ancora quello di vent’anni prima.
Nel 1950, quando Arnold Schömberg viveva negli Stati Uniti da ormai diciasette anni, un giornalista americano gli rivolse alcune domande perfidamente ingenue: E’ vero che gli artisti emigrando perdono la loro forza creatrice? E’ vero che l’ispirazione inaridisce non appena le radici del paese natale cessano di alimentarla?
Ci pensate? Cinque anni dopo l’olocausto! E un giornalista americano non perdona a Schömberg di non essere legato a quel lembo di terra dove, sotto i suoi occhi, si era scatenato l’orrore degli orrori! Non c’è niente da fare. Omero rese gloria alla nostalgia con una corona d’alloro e stabilì in tal modo una gerarchia morale dei sentimenti. Penelope sta in cima, molto al di sopra di Calipso. Calipso, oh Calipso! Pensò spesso a lei. Ha amato Ulisse. Hanno vissuto insieme sette anni. Non sappiamo per quanto tempo Ulisse avesse condiviso il letto di Penelope, ma certo non così a lungo. Eppure tutti esaltano il dolore di Penelope e irridono le lacrime di Calipso.
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